mercoledì 15 giugno 2005

La pubblicità, tra Dante e Bianciardi

L’amico rise. “Pensa,” continuò, “io son Beatrice che ti faccio andare. Un verso di Dante argutamente distorto, per fare la pubblicità a un’acqua purgativa. Son cose meravigliose. Credi a me, la pubblicità ormai è una scienza. Dirò di più. Se tieni presente il fatto che la vita è produzione, che la produzione si fonda sul mercato e che il mercato, ormai, si conquista con la pubblicità, devi necessariamente concludere che la tecnica dell’advertising è ormai un’interpretazione della realtà, e che l’agente di pubblicità, in definitiva, è un filosofo. Che cos’è la pubblicità? Tutto. La stretta di mano, l’abito che porti, la tua cravatta, il tuo sorriso, le tue parole, il tuo stile, tutto ciò, in un modo o nell’altro, è pubblicità. Ne sei convinto?” Io ero a bocca aperta.

Da un articolo intitolato La pubblicità, apparso su l’Unità (ed. piemontese) del 17 maggio 1956, scritto da Luciano Bianciardi e raccolto nel libro L’alibi del progresso, di Luciano Bianciardi, Milano, Ex Cogita Editore, 2000.

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