Russell Davies parla di “tirannia della Grande Idea”, una sorta di moloch comunicativo, ingombrante e rigido, castrante. Oggi che i brand devono rendersi “interessanti”, la Grande Idea sembra non essere più quello strumento capace di coinvolgere i consumatori in modo convincente e (per quanto possibile) sempre inaspettato.
Oggi servono tante nuove idee: piccole, veloci, vagamente variamente connesse, spiazzanti. Non un'idea sola e, per di più, grande. Oggi i mercati sono conversazioni e non si può sempre dire la stessa cosa, nello stesso modo, attraverso gli stessi canali, e per troppo lungo tempo. Altrimenti si diventa noiosi (come accade a volte nelle nostre conversazioni).
Quello che Davies suggerisce non è un modello molecolare. Il nuovo prototipo è quello che è venuto definendosi nel corso del tempo per Nike: un “enorme secchio” pieno di “piccole” idee (non solo di pubblicità), dove le parole (claim: Just do it) hanno una funzione di servizio, di collegamento. Dove ciò che conta è la capacità del brand di ascoltare, di cogliere l'emergente e di esprimersi in modi differenti e non impositivi.
Il “secchio” pieno di “piccole idee” contrapposto al Monumento della Grande Idea è senz'altro un'analogia più attuale per spiegare il funzionamento di alcune marche (di successo) e un modo flessibile per produrre alternative.
Alla fine, però, anche le “small ideas”, nel loro piccolo, devono essere grandi, devono avere qualcosa di grande. Devono possedere quella qualità che il vecchio George Lois, in What's the Big Idea?, individuava così:
The right idea in advertising attacks the mind and the body. It can floor you.
Idee grandi o piccole, la sostanza non cambia.
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