Tempo fa l’Art Directors Club Italiano e Assocomunicazione avevano promosso una campagna stampa contro l’abuso delle gare come pratica aziendale per la selezione delle agenzie e dei progetti.
Correttamente Assocomunicazione suggerisce una best practice per lo svolgimento delle gare sia pubbliche sia private. Da parte sua, l’ADCI nel 2004 aveva commissionato una ricerca: La ragione del Cliente, che indagava il più vasto contesto dei rapporti agenzia/creativi/cliente: un bicchiere mezzo vuoto (o mezzo pieno).
Spesso, nella realtà, i buoni suggerimenti e la best practice sono disattesi.
Le gare sono condotte secondo modalità francamente discutibili: vincoli di accesso stranamente mobili o assurdamente mirati, troppe agenzie coinvolte, scarsa trasparenza dei criteri di valutazione, nessun rimborso spese per la partecipazione.
Alla fine, altrettanto spesso, i risultati del lavoro prodotto sono pietosi.
La responsabilità non è solo delle aziende che ne approfittano ma anche delle agenzie di comunicazione che, in tempi di crisi, si disputano qualunque budget, senza tanti complimenti e con qualche colpo basso di troppo. Senza dimenticare che il tempo e le risorse impiegate nelle gare sono sottratti ai clienti gestiti.
Personalmente non ho molta simpatia per le gare: ma io faccio il copywriter freelance e non ho dipendenti da pagare o bilanci da far quadrare.
Segnalo, infine, una recentissima ricerca condotta dal British Design Innovation: Pitch versus productivity (i documenti formato pdf sono scaricabili dalla homepage.)
Questa ricerca evidenzia, una volta di più, lo spreco di risorse dovuto al free pitching: circa 38.000 sterline l’anno in media per agenzia (parliamo di design agency medie/piccole). Le cose vanno un po’ meglio in caso di paid pitching.
Il senso di disagio e di insoddisfazione per la pratica obbligatoria delle gare rimane comunque. Ed è sentito da tutti quei professionisti della pubblicità/comunicazione/design che ogni giorno cercano di lavorare in modo serio, professionalmente ineccepibile.
1 commento:
parole sante.
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