Si è fatto un gran parlare delle possibili applicazioni (e implicazioni) delle neuroscienze nel branding e nella comunicazione pubblicitaria. Poter confezionare un messaggio capace di sollecitare certe parti del cervello per ottenere risposte automatiche è il sogno di molte aziende (forse tutte).
In realtà le cose non sono così semplici: né lo scenario è già deciso. A ridimensionare la portata delle neurosciocchezze ci ha pensato Caroline Whitehill in un articolo apparso nel sito dell’ Association of Qualitative Research inglese: You don’t have to be a brain scientist.
4 sono le scoperte incontestabili fatte dal neuromarketing (neuro-facts).
1. Nella mente del consumatore i brand assumono la struttura di mappe costituite da centinaia di associazioni in continuo cambiamento (brand engram).
2. Esistono associazioni mentali del brand fortemente connesse e saldate, difficili da modificare (hardwiring).
3. Le marche sono ancorate emozionalmente nella nostra mente: l’emozione è più forte di qualsiasi movimento della ragione (emotional anchoring).
4. La nostra mente processa una grandissima quantità di informazioni (probabilmente la maggioranza) a livello non consapevole (low attention processing).
Sempre nel sito AQR, non mancate di leggere il bel pezzo di Caroline Pakel-Dunlop dedicato alla creatività: Creativity and the key to problem solving.
I testi si rivolgono agli specialisti delle ricerche (qualitative) di mercato ma chi è curioso li troverà comunque stimolanti.
lunedì 16 gennaio 2006
The brain, the brand and the bluff
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